Se dovessi scegliere quale sia stato il momento in cui ho gioito di più nella mia vita, quanto meno nella sua primissima parte, non avrei alcun dubbio nel dire una data: 11 luglio 1982.
Questa data però fu solo l’acme, l’orgasmo urlato al mondo di un amplesso che stava perdurando da un mese, con tutti i suoi preliminari e fors’anche con qualche momento di perplessità.
Avevo diciassette anni e una voglia matta di spaccare un mondo che si stava già scassando da solo.
Amavo il calcio come si ama la mamma e la Formula 1 come si ama una morosa adolescente, forse per via delle “minigonne” ma più probabilmente per la presenza in pista di un certo Gilles, genio scompaginato che finì di strabiliare il mondo solo pochi mesi prima. E io lasciai per sempre quella morosa.
Mi rimase solo l’amore materno, il calcio.
Se poi, all’amore di mamma ci metti pure i nonni (Bearzot e Pertini) ricomponi una famiglia che a inizio giugno sembrava sfaldarsi sotto il peso delle male dicerie, delle perplessità e delle nere previsioni.
Ma l’amore – si sa, o comunque si spera – vince sempre.
E vincemmo.
Tre pappine ai corazzieri di Germania e giù in strada, a piedi, in bici, in due sul Ciao, in vetuste berlinotte senza servosterzo rasate a mo’ di cabriolet, tutti, comunque ed inevitabilmente, con qualche straccio verde-banco-rosso o cencio azzurro che fosse, a urlare al cielo un’irrefrenabilità mai vista. Era un’urgenza che covavamo sotto da tempo e quel trionfo diede la stura a quella che tutt’ora considero sempre LA FESTA, anzi LA FIESTA!
Con buona pace di quei poveri crucchi che con le loro Volkswagen targate “D” si azzardavano a percorrere le nostre strade obbligate da e per Jesolo. Vi arrivarono con una collezione di diti medi, di epiteti irripetibili, e con la Volkswagen ricoperta di ogni sorta di liquido o fluido organico con DNA rigorosamente italiano. Faceva parte del gioco e ci stramaledicevano in quella loro lingua aspra già a pronunciare parole dolci, figuriamoci gli improperi… Ma una volta arrivati a Jesolo si sarebbero subito accorti che era appena cominciata la loro agonia…
I “figli di Bearzot” furono i 22 nostri fratelli che in virtù di un discreto talento, compirono l’impresa e non li ringrazieremo mai abbastanza, ma tutti noi italiani eravamo figli di Bearzot, seppur contestatori, piagnucoloni, irriverenti, ruffiani che ci accorgemmo di esserlo solo dopo, con la Coppa in mano a Zoff.
Per questo il buon Enzo, anche da lassù, meriterebbe un monumento alto cento metri, che fosse visibile da ogni parte della Penisola e, magari, anche dal satellite. A imperitura memoria.
Grazie Enzo.
Grazie Dino, Claudio, Antonio, Gabriele, Fulvio, Gaetano, Bruno, Marco, Paolo, Giancarlo, Francesco, Ivano, Zio, Spillo, Franco B., Pietro, Gianpiero, Giuseppe, Daniele, Franco C., Giovanni, Franco S.
Grazie Sandro.
Grazie Nando.
Buon quarantesimo anniversario a tutti!!!